Antonio Bueno
Antonio Bueno nacque il 21 luglio 1918, nella Berlino imperiale degli ultimi mesi di guerra.
L'esperienza berlinese fu, per Bueno, poco più che una parentesi; ma bisogna dir subito che, di parentesi del genere, esso ne conobbe altre in seguito, e altre ne aveva conosciute in precedenza.
Nel 1938, infine, si trasferì stabilmente a Parigi.A Parigi Antonio, messa da parte la grafica pubblicitaria, seguiva le lezioni del professor Guérin all'École des Beaux-Arts, un insegnamento - a giudicare dalle sue prime prove conservateci - di spiccata impronta cézanniana.
I lavori giovanili dei due Bueno mostrano un'evidente aria di famiglia, una convergenza di gusto e di stile.Per la durata di un decennio (cioè almeno sino al 1949) la loro produzione conserverà l'impronta di comuni intenti programmatici e operativi, al punto che la critica non ha in genere rilevato divergenze sostanziali fra l'uno e l'altro fratello nelle loro opere di quel periodo. In realtà, accanto alle numerose affinità e similarità, erano attive sin dall'inizio delle decisive differenze; quelle stesse che, acutizzandosi negli anni più tardi, avrebbero reso così distinte e quasi antitetiche le successive maniere dei due artisti.All'inizio del 1940 Antonio Bueno, con la madre, il fratello Xavier e la moglie di questi, la scrittrice Julia Chamorel, si trasferisce in Italia, stabilendosi a Firenze.
Nelle prospettive iniziali, il viaggio intrapreso dai due giovani pittori non avrebbe dovuto essere altro che il classico voyage en Italie che ogni artista europeo che si rispetti deve, prima o poi, compiere; in realtà essi non riuscirono mai più ad allontanarsi da Firenze, città nella quale imprevedibilmente finirono per trascorrere tutta l'esistenza.
Il capoluogo toscano doveva essere, in teoria, soltanto la prima tappa di un viaggio di studio che li avrebbe condotti anche a Siena, Roma e in altre città d'arte del centrosud, finché fossero durati i soldi e finché la drôle de guerre che impediva loro di rientrare a Parigi non si fosse in qualche modo risolta; ma quando, pochi mesi più tardi, anche l'Italia entrò nel conflitto, tutti questi progetti vennero sconvolti.Gli anni immediatamente successivi al 1949 rappresentano l'avvio della fase nella quale la ricerca pittorica di Antonio Bueno acquisterà i suoi connotati più personali e decisivi. I primi passi mossi in tale direzione segnano un totale capovolgimento, quasi un atto di revoca nei confronti di tutte le sue precedenti esperienze: dal 1950, difatti, l'artista lavora alla rivista d'arte astratta "Numero", di Firenze, della quale diviene anche segretario di redazione. La collaborazione con Fiamma Vigo, ideatrice di "Numero", e coi vari altri esponenti dell'astrattismo fiorentino, si protrasse sino al 1955 circa; vi furono delle esposizioni di gruppo alle quali l'artista partecipò con alcuni esempi di pittura geometrica. La metamorfosi non poteva essere più radicale né più rapida (anche se nel caso specifico poteva trattarsi di due realtà già compresenti l'una nell'altra): Bueno passava direttamente dalla figurazione più nitida e dettagliata all'astrazione, senza tappe intermedie. La necessità di una conversione del genere, va detto, era più che altro politica: mediante un "bagno purificatore" nell'astrattismo, infatti, egli contava di poter riscattare gli eccessi della precedente epoca della "Realtà" e di poter così avviare una riconciliazione con quelle varie autorità culturali che sino ad allora avevano osteggiato la sua opera. Suo fratello Xavier, al contrario, non cercò mai di compiere un passo di questo tipo; l'unica sua prova non figurativa (compiuta per gioco o in un momento di distrazione) fu un piccolissimo collage, ricavato da dei campioni di colore che doveva esaminare per tutt'altro scopo (una pittura murale commissionata dall'Alitalia).Gli anni Cinquanta furono per Antonio Bueno la stagione delle "pipe". La figurazione umana, scomparsa abbastanza improvvisamente dalla sua produzione "ufficiale" già all'indomani del periodo dei "Pittori Moderni della Realtà", fu in pratica sostituita da degli oggetti di valenza metafisica - le pipe di gesso, appunto, che Antonio e Xavier fumavano quand'erano studenti a Ginevra; e ancora i gusci d'uovo rotti, i pennelli e le matite. In quei dipinti si tentava, se si vuole, un interessante compromesso fra astrazione e figurazione; e anche certi paesaggi risalenti a quegli anni, particolarmente spogli, denunciano un'intenzione del genere. Con quadri di questa fattura l'artista si presentò nel 1953 alla galleria "La Bussola" di Torino (la sua prima personale di autentico rilievo, presentata in catalogo da Edoardo Sanguineti) e, successivamente, alla Biennale veneziana del 1956.L'innovazione più consistente, all'indomani del periodo delle "pipe", fu senza dubbio la riscoperta della raffigurazione umana, che tornava ora nuovamente in primo piano nei dipinti di Antonio Bueno. Fra il 1959 e il 1962 l'artista si dedicò quasi esclusivamente ai monocromi; questo genere di ricerca culminò nell'allestimento, in collaborazione con P. Manzoni e P. Scheggi, di quella che fu poi sempre da lui rivendicata come "la prima mostra di pittura monocromatica in Italia" (nel 1962). I suoi primi monocromi erano per la maggior parte neri, realizzati con la tecnica dell'impronta (applicata perlopiù mediante tamponi di spugna); meno frequenti erano quelli rossi o quelli bianchi, mentre quasi tutti bianchi furono poi i monocromi a rilievo che produsse attorno al 1967. Era probabilmente a pitture di questo genere che alludeva Giorgio de Chirico quando (nella seconda edizione delle sue Memorie) accusò Bueno di "leucofilia".Da tutta l'incessante e polimorfa attività descritta sinora, svolta da solo o in gruppo, Bueno (è anche inutile dirlo) non traeva alcun utile. Il tributo d'energie e idee che egli pagava all'avanguardia non gli veniva compensato se non in termini di stima, di consenso critico: per il sostentamento economico bisognava ricorrere ad altri sistemi, ad altro genere di pittura. Come già indicavamo in precedenza, Bueno dovette consacrarsi lungamente ad una sorta di doppia vita. Di giorno, per così dire, girava l'Italia in lungo e in largo con mostre provocatorie e rumorose, per farsi notare sempre in prima linea sul fronte del nuovo; di notte, però, doveva chiudersi nel suo piccolo studio di Firenze e rubare tempo al sonno per sfornare silenziosamente quadri più smerciabili e redditizi. Era finita, per fortuna, la stagione del mecenatismo, dei ritratti su commissione eseguiti in fretta e controvoglia; ora anche il côté mondano e compiacente della sua produzione aveva precisi connotati d'originalità.
In quest'ambito, i suoi lavori più noti e diffusi erano i volti e le figure femminili, che l'artista dipingeva, attraverso stilizzazioni via via nuove, fin dagli anni Cinquanta. Questi volti dapprima comparivano solo sporadicamente, in margine a combinazioni di pipe o di altri oggetti ricorrenti di quel periodo; dal 1958 circa, conclusasi la stagione delle "pipe", i volti rimasero in pratica gli unici padroni del campo, e Bueno avviò una lunga e fortunata serie di "variazioni sul tema". Per molto tempo, ad ogni modo, egli non cessò di reputare in certo qual modo sconveniente questa parte della propria produzione (diffidando forse della sua limpida e aproblematica figuratività); per molto tempo la giudicò "minore", e si guardò bene dal proporla o esibirla in manifestazioni di grande richiamo. Basteranno due esempi: nel 1964, chiamato a partecipare alla rassegna itinerante "España libre" (riservata agli artisti esuli dalla Spagna franchista), egli espose solo le sue "impronte"; nel 1968, invece, prese parte alla XXXIV Biennale veneziana proponendo una serie di monocromi a rilievo (introdotti da un testo di Sanguineti intitolato Musica humana per Antonio Bueno).
Attorno alla fine degli anni Sessanta, Antonio Bueno maturò un nuovo ripensamento stilistico, che impresse alla sua carriera d'artista una radicale svolta. Sulla sua adesione alle tematiche dell'avanguardia, per quanto sincera, avevano sempre pesato certi dubbi di fondo (e se vogliamo anche il suo passato di figurativo iperrealista, mai del tutto rinnegato). Un esplicito segnale del perdurare di certe predilezioni era stato (dal 1958 circa in avanti) il riaffiorare della figurazione, mai più abbandonata in seguito e conservata anche attraverso le più spregiudicate sperimentazioni del periodo del "Gruppo '70"; l'abbandono dell'avanguardia, in sostanza, fu un atto improvviso, sì, che aveva avuto però lunga incubazione.Il divorzio di Bueno dall'avanguardia si consumò, rapidamente e senza strascichi, verso la fine del 1968, lo stesso anno in cui cessava di esistere il "Gruppo '70".Da questo momento, dunque, Bueno tornò definitivamente alla figurazione, mettendosi a dipingere a tempo pieno pitture che autoironicamente amava definire "neokitsch", "neopassatiste", "neoromantiche" o (per usare un altro termine che prediligeva) "pompieristiche". Queste sue prove avevano cessato, ormai, di parergli sconvenienti; al contrario, adesso egli aveva maturato la consapevolezza che, in un'epoca in cui l'antigrazioso si è fatto nuovo canone accademico, la grazia può paradossalmente agire da elemento di rottura. Nelle intenzioni di Bueno, insomma, il neoconformismo avanguardista del "non grazioso" poteva essere scardinato e messo in scacco proprio da una pittura "graziosa", piacevole e tecnicamente accurata (anche se naturalmente bisognava sempre valutare il rischio di una lettura superficiale, che trascurasse la valenza contestatrice e gli ambigui sottintesi di quella pittura arrendendosi alla sua apparente semplicità).
Antonio Bueno concludeva la propria carriera in crescendo, giungendo a ottenere i maggiori consensi proprio nel momento in cui la sua esistenza volgeva al termine; si può dire, anzi, che egli non abbia fatto neppure a tempo a godere del successo e degli onori che da molte parti si cominciava a tributargli. La sua scomparsa, avvenuta nel settembre del 1984, a sessantaquattro anni di età, lo coglieva in fase di piena ascesa, quando era ormai avviato a diventare uno dei maggiori maestri italiani. Prima della morte, comunque, egli ebbe almeno un paio d'occasioni di vera soddisfazione. Ricorderemo in primo luogo la grande antologica allestita in Palazzo Strozzi a Firenze, nel 1981, che segnò in pratica la riconciliazione fra Bueno e la sua città; in tale circostanza il pubblico, oltre a conoscere una sterminata quantità d'opere di ogni periodo, ebbe l'opportunità di vedere anche lo studio dell'artista, appositamente ricostruito nei locali della Nuova Strozzina, e di osservare lui stesso al lavoro, intento a dipingere o tirare stampe al torchio. Ma la definitiva consacrazione di Bueno probabilmente ebbe luogo con la Biennale di Venezia del 1984, giusto pochi mesi prima della sua morte, quando egli era già gravemente malato: invitato da Giorgio Di Genova, presentò una serie di opere magistrali (ancora una volta d'après), che rappresentano senza dubbio il vertice di tutta la sua produzione della maturità.